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Immagine del redattoreGiovanni Melappioni

Scarperia, 1351. Un assedio esemplare.

Aggiornamento: 3 apr 2022

Pochi assedi medievali vennero risolti con un attacco diretto. Solitamente si preferiva attendere la resa per fame o tentare qualche trucco a basso costo di vite (traditori disposti ad aprire le porte, soldati atleti in grado di infilarsi per le latrine e così via). Nel caso di Scarperia, però, la fretta di liquidare la piazzaforte costrinse all'assalto delle mura e l'assedio, ben documentato, diventa così un perfetto archetipo di guerra ossidionale.


Anno del Signore 1351: Giovanni Visconti da Oleggio, governatore di Bologna per conto del suo potentissimo parente, l'arcivescovo di Milano Giovanni Visconti, è al comando di un oste imponente, diverse migliaia di uomini, forse anche diecimila da quel che si può dedurre dalla lunghezza interminabile dei ranghi che si inerpicano lungo l'Appennino dalla pianura padana. Obiettivo i guelfi territori di Firenze. La strada più diretta per dilagare verso il capoluogo toscano è sempre la stessa, da centinaia di anni: Casalecchio di Reno-Sesto Fiorentino. A guardia dell'ultimo tratta c'è il castello montano di San Barnaba, conosciuto oggi come Scarperia e San Piero. Si tratta di un piccolo borgo fortificato risorto dalle ceneri di un precedente fatto d'arme, l'assedio di Montaccianico del 1306 che vide il "vecchio" borgo venire dannato in eterno con proibizione di ricostruire sul sito. Essendo però quella una posizione chiave, si decise per l'edificazione di un nuovo abitato dotato di mura sopra una scarpata poco distante, da cui il nome Terra nova di Scarperia dedicato a San Barnaba.

Il teatro delle operazioni, oggi. Dovete immaginare la zona come una fittissima foresta quasi del tutto priva di sentieri se non la strada che procede verso il valico, visibile in basso e sulla sinistra, dove l'armata viscontea contava di passare per raggiungere Firenze.

Castel San Barnaba viene prontamente rinforzato per decisione degli "imborsati", i membri del consiglio di Firenze scelti fra i magnati del popolo grasso (elezione che avveniva tramite estrazione casuale del nome da una borsa, da cui il nome). Proprio in quel punto si stabilisce di giocare la partita contro le mire espansionistiche dei Visconti. Niente azioni di disturbo quindi, con conseguente dispersione delle forze a disposizione fra rocche, case forti e castelli del valico, niente strategia mordi e fuggi in previsione di campal battaglia troppo vicino alle mura patrie. No, è contro la muraglia di San Barnaba che si fermeranno i nemici. Così centinaia di uomini vengono spediti in tutta fretta a rinforzare la minuta guarnigione. Non si tratta di una milizia raffazzonata e raccogliticcia, però, perché numerosi professionisti fanno parte dell'esercito fiorentino, così come preponderante è il numero di arcieri e balestrieri i quali, come vedremo, saranno determinanti per l'esito della battaglia.


Se siete passati per l'attuale Scarperia, o se ne avete osservato il perimetro grazie alle mappe satellitari di Google, avrete notato quanto ridotto sia il perimetro delle vecchie mura. Vi sarà sorta spontanea la domanda su dove possano aver trovato sistemazione le centinaia di difensori durante i due mesi d'assedio. Per rispondere è importante essere consapevoli che operazioni di questo genere, su così vasta scala, difficilmente si svolgevano come nelle illustrazioni dei libri (che pagano il pegno di dover mostrare molte cose in pochissimo spazio).

Di tutto e di più, una concentrazione di macchine che neanche la sede centrale della Caterpillar...

Non era mai così efficace la stretta degli assedianti e non era sempre vero che tutti, ma proprio tutti i difensori si trovassero all'interno della cerchia fissa di mura. Molto spesso venivano costruite ridotte e palizzate, erette fortificazioni di legno (da entrambe le parti) e la mobilità dei difensori non sempre era negata perché circondare completamente una fortezza in maniera davvero efficace non era sempre agevole. Nel nostro caso i difensori di San Barnaba si erano disposti lungo una palizzata costruita ex novo, rinforzata da due fossati e che doveva correre lungo il crinale che conduce all'attuale lago di Bilancino. Una barriera, dunque, con punto forte il borgo, per la cui costruzione si ricorse perfino allo smantellamento delle porte delle abitazioni private, a quanto racconta Pietro Azerio nel suo Chronicon. Se avete letto Il canto della vendetta vi verrà in mente la ridotta costruita dai normanni a Scutari.

L'assedio ha inizio la prima settimana di agosto, o poco dopo. Secondo Matteo Villani, che di questa vicenda ci fornisce un resoconto dettaglio e colorito, sotto le mura di San Barnaba ci fu un assedio da manuale, con ogni tipo di arma e strategia in atto. Giovanni da Oleggio e i suoi consiglieri militari decidono di andare subito sul pesante con lo scavo di una mina contro il muro settentrionale del borgo. Sanno che prendere la palizzata non basterebbe e che l'intero sistema difensivo va distrutto, altrimenti l'armata dei Visconti si troverebbe incastrata fra i sopravvissuti di San Barnaba e l'intero esercito fiorentino, in adunata (lenta) nei pressi di Borgo San Lorenzo. Per mantenere segreti gli scavi i viscontei lanciano un assalto generale non contro il borgo ma contro il muraglione esterno con l'utilizzo di gatti e grilli – coperture mobili costituite da tettoie ricoperte di pelli per impedire al fuoco lanciato dai difensori di aggredirle – con le quali gli uomini possono portarsi a ridosso delle fortificazioni per colpire con arieti o provare a smantellarle nel caso di barriere di legno o barricate alla meglio. Viene perfino costruita una torre di legno mobile, portata a ridosso della palizzata e sulla sommità della quale si danno il cambio squadre di tiratori che non smettono un istante di tormentare i difensori. Tutto questo per dare copertura agli scavatori, alle prese con la dura roccia appenninica sul lato orientale delle difese. La mina era uno scavo sotterraneo iniziato il più vicino possibile alle fondamenta del muro da abbattere che doveva arrivare fino alla base della fortificazione. Allargata la falla nelle fondamenta si creava una struttura lignea in sostituzione del materiale rimosso. Quando si era certi di aver trasferito tutto il peso delle mura da abbattere sulla tettoia in legno, si riempiva l'anfratto con materiale infiammabile e si incendiava il tutto: ne sarebbe conseguito un crollo tale da creare una breccia, creando una situazione tipo questa nell'immagine



I difensori del castello però si accorgono di quanto sta avvenendo realmente. Si dedicano con accanimento alla difesa della palizzata mentre gli abitanti del borgo, nessuno escluso, cominciano a scavare una contromina, un tunnel per intercettare quello in avvicinamento alle proprie mura, cosa che puntualmente accade: la mina viscontea viene scovata e nello scontro sotterraneo i fiorentini hanno la meglio. Lo scavo viene fatto crollare: fine del piano A.

L'assalto generale, con lo scopo di prendere le mura, è l'opzione successiva. Tutte le strutture difensive mobili vengono spostate e fatte inerpicare lungo la salita che conduce al borgo. Il fronte d'attacco si assottiglia a causa dell'asperità del terreno, accade così che i balestrieri che dovevano coprire l'avanzata si trovano troppo avanti rispetto al resto della forza d'assalto, e unico bersaglio dei difensori sulle mura. Fuggono, colpiti da ogni lato. Le diverse unità che devono invece prendere parte alla scalata delle mura arrivano un poco alla volta, prive di copertura, e divengono oggetto del lancio di qualsiasi oggetto reperibile all'interno del borgo: pali appuntiti, mattoni, pietre, tronchi, vicini noiosi (approfittando della distrazione generale). È un tale disastro che si riesce a lanciare perfino una sortita che porta alla distruzione delle coperture mobili, all'uccisione di diversi nemici e alla cattura di molti di loro (utilissimi da utilizzare al posto dei merli, sopra gli spalti, come tradizione vuole).


Il tempo passa inesorabile, e ogni giorno i fiorentini che attendono l'armata viscontea più a valle ricevono rinforzi. Impossibile attendere, non c'è nemmeno la possibilità di far cadere per fame il castello perché i rifornimenti ai difensori sono continui, resistendo la palizzata della parte bassa. Gli uomini sono demoralizzati, ma c'è ancora una forza che ha assistito senza prendere parte alle diverse fasi dell'assedio: i mercenari tedeschi, tutti cavalieri, al seguito di Giovanni. Si dicono pagati per combattere a cavallo, non per la guerra dei topi, e tocca pagarli il doppio per il loro aiuto. Il piano non brilla per originalità: attacco notturno, con luna favorevole (altrimenti sarebbe come giocare a moscacieca) mentre il resto dell'esercito con strepiti e falsi tentativi di attacco distrae i difensori. I tedeschi arrivano sul lato meno illuminato e appoggiano le scale, solo per farsele rovesciare addosso dagli armati di San Barnaba che non si sono fatti prendere per il naso. La sorpresa la ricevono i germanici, che vengono addirittura inseguiti e accoppati in buon numero a seguito dell'ennesima sortita.

Il 26 ottobre, pesti e umiliati, i viscontei devono ritirarsi. Oltre ad aver perso la speranza di conquistare il valico, inizia a mancare il cibo per gli uomini e per i cavalli. Un fiasco completo.


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