Appena alcune settimane dopo l’inizio della Prima Guerra Mondiale fu chiaro a tutti che la fanteria aveva perso il suo predominio sui campi di battaglia, a causa del perfezionamento dell’artiglieria e per la rivoluzionaria introduzione delle sezioni di mitragliatrici.
Quest'ultima arma, in particolare, aveva subito un progresso evolutivo enorme dalla fine del XIX secolo, aumentando in capacità di fuoco e maneggevolezza: una Vickers inglese, ad esempio, era pesante all’incirca 20kg, con una cadenza di fuoco di 200 colpi, calibro .303, al minuto. Prestazioni notevoli per un’arma che poteva essere quindi posizionata e spostata più volte nel corso di uno scontro a fuoco, costituendo un ostacolo formidabile per le formazioni di fanteria che avanzavano tra i crateri e le asperità del terreno che ne rallentavano lo slancio. Distribuita in quantità sempre maggiori divenne il principale dispositivo “attivo” di difesa per tutto l’arco della guerra. La guerra di trincea prese il sopravvento su qualsiasi tentativo di manovra su vasta scala. Urgeva l’introduzione di armi capaci di superare lo stallo del fronte.
L’utilizzo dell’artiglieria in maniera massiccia, con giorni di bombardamento preliminare prima dell’avvio delle offensive, non ottenne mai il successo che sulla carta sembrava garantire. Né l’impiego di gas tossici si dimostrò essere la carta risolutiva.
Fu la Gran Bretagna che per prima cominciò a studiare la possibilità di realizzare mezzi capaci di muoversi sui terreni devastati del fronte e dotati di blindatura sufficiente a rendere inoffensive la maggior parte delle armi di piccolo calibro, per guidare l’avanzata della massa di fanti lungo la terra di nessuno e superare le trincee tedesche, permettendo poi la loro occupazione alle truppe al seguito.
Nel corso degli scontri del settembre del 1916 (Battaglia della Somme, Luglio-Novembre 1916) gli Inglesi introdussero per la prima volta un mezzo cingolato che, negli intenti degli sviluppatori, avrebbe dovuto ovviare alla staticità della guerra di trincea, riportando mobilità sul campo di battaglia nella speranza di raggiungere lo “sfondamento decisivo”, quella penetrazione in forze che avrebbe posto fine al conflitto, ricercata da tutti gli schieramenti coinvolti e mai ottenuta. Il colonnello E.D. Swinton, sviluppatore del programma, aveva idee precise riguardo l’utilizzo dei “Water Tanks”, nome con il quale i nuovi mezzi venivano indicati per ragioni di sicurezza e che poi divennero i “tank”, termine che tutt’oggi identifica i carri armati, nel mondo anglosassone. Egli sostenne con forza l’utilizzo in massa dei nuovi veicoli, avendo intuito chiaramente che non solo questo avrebbe portato ad un effettivo superamento dei dispositivi difensivi avversari ma avrebbe permesso l’avanzamento rapido oltre le linee predisposte prima dell’arrivo delle riserve, evento che solitamente poneva fine alle offensive tradizionali della fanteria. Il continuo movimento sarebbe stato anche garanzia di sopravvivenza per i carri corazzati. Il generale D. Haig, comandante delle forze britanniche, al contrario non tenne conto dei suggerimenti del suo sottoposto, disponendo la distribuzione omogenea dei mezzi lungo tutto il fronte, come supporto per le operazioni su vasta scala della fanteria. I risultati furono pochi, effimeri, successi su scala limitata. Successivamente, però, seguirono altre operazioni, alcune, come quella presso Cambrai nel 1917, coronata da successo, che misero in mostra le potenzialità dei veicoli su cingoli, purché supportati dalla fanteria. Rimaneva il problema di rendere i soldati in grado di tenere il passo con l’avanzata.
Senza carri armati la fanteria era costretta nelle trincee, e la guerra ritornava ad avere le caratteristiche di scontro d’attrito senza che nessuna delle parti potesse ribaltare la situazione; al contrario, i veicoli corazzati, privi di supporto appiedato, finivano per essere insufficienti nel raggiungimento di obiettivi strategici, soprattutto con il sopraggiungere di armi specializzate, fuciloni anti-carro e pezzi di artiglieria dedicati, in grado di contrastarli.
La conclusione della Prima Guerra Mondiale pose fine, incredibilmente, anche al dibattito sulle emergenti forze corazzate, fatto salvi alcuni circoli di giovani ufficiali dalle idee innovative e con una mentalità sufficientemente elastica per prevedere quello che i loro superiori sembravano voler ignorare ossia che il futuro della guerra doveva essere la meccanizzazione della stessa, pena rivivere gli orrori dell’insensato scontro lungo linee fortificate, nella staticità più completa e con enormi, quanto inutili, perdite umane.
Mentre in Inghilterra J.F.C. Fuller e B.H. Liddell Hart formavano, nel 1927, “il corpo meccanizzato sperimentale” ponendo le basi per la dottrina tattica dell’utilizzo della combinazione carri-fanteria (penetrazione in profondità verso i punti nevralgici del territorio nemico, neutralizzazione dei quartier generali e costituzione di una solida “testa di ponte” fino all’applicazione, a livello strategico, degli effetti sortiti con la resa del nemico) e in Francia un semisconosciuto De Gaulle proponeva anch’esso le sue idee sulla falsa riga dei Britannici, in Germania, incoraggiato da Hans von Seekt stesso, presidente del Comitato per l'Organizzazione dell'Esercito, un giovane ufficiale cominciò la sua lotta per rendere reali le visioni rivoluzionarie che aveva maturato.
Heinz Guderian aveva combattuto durante la I guerra mondiale in un’unità di telegrafisti, divenendo uno specialista di comunicazioni radio e successivamente ufficiale di Stato Maggiore. Aveva una buona conoscenza del francese e dell’inglese, cosa che gli permise di poter seguire le pubblicazioni estere in merito allo sviluppo di forze meccanizzate.
Il particolare periodo successivo alla Grande Guerra aveva imposto alla Germania, il cui esercito era stato ridotto a 100.000 unità secondo gli accordi di Versailles, una visione strategica moderna della situazione nella quale si trovava. Circondata da nazioni potenzialmente ostili, su fronti distanti fra loro, vi era la necessità di dotarsi di una forza di élite in grado di poter rispondere efficacemente in caso di aggressione, nell’attesa dell’intervento pacificatore della comunità internazionale. Il generale Tschischwitz, capo delle unità di trasporto motorizzato, chiese e ottenne, nel 1922, l’assegnazione di un ufficiale di Stato Maggiore in grado di aiutarlo nel vagliare la possibilità di un uso offensivo dei trasporti a motore. Gli venne assegnato proprio Guderian.
Lo studio sistematico delle novità che giungevano dall’esterno e l’applicazione mediante simulacri e trucchi scenici degni di una produzione cinematografica fecero maturare le idee che Guderian traspose poi nel testo “Achtung-Panzer”, scritto tra il 1936 e il ’37 quando ricopriva l’incarico di capo di Stato Maggiore del generale Lutz.
In esso venivano enunciate le dottrine militari alla base della Blitzkrieg e le specifiche per la creazioni di unità di mezzi corazzati a livello divisionale, con il supporto, cioè, dell’artiglieria e della fanteria secondo il concetto di indipendenza tattica con cui una divisione deve essere intesa.
L’idea di un nuovo utilizzo tattico della fanteria nacque dalla commistione delle esperienze riportate dalle unità di Sturmtruppen durante il conflitto del 1914-18 e l’esigenza di avere unità in grado di muoversi rapidamente sul campo di battaglia e di fornire supporto diretto ai carri armati, senza limitarsi al ruolo strategico di occupare le posizioni conquistate, essendo chiaro che le forze meccanizzate da sole non erano in grado di ottenere successi completi. La questione principale era ovviare all’errore commesso dalle altre nazioni, Francia prima fra tutte, che avevano subordinato i veicoli corazzati alla fanteria, dividendo le forze corazzate in piccole unità con compiti di supporto alle tradizionali divisioni dell’esercito, costringendo quindi i carri armati a seguire il passo della truppa e non viceversa come invece Guderian sosteneva con veemenza.
Nei suoi piani i mezzi corazzati dovevano frantumare il sistema difensivo nemico con il supporto dell’artiglieria, campale e semovente, dell’aviazione (con il miglioramento dei velivoli capaci di colpire obiettivi al suolo) e di una fanteria pesantemente armata (il numero di mitragliatrici leggere, ad esempio, era quasi doppio rispetto alle altre unità dell’esercito: 1101 contro 643) operante sul campo di battaglia a bordo di veicoli con elevata mobilità fuoristrada, dotati di blindatura, con il compito di eliminare le difese anticarro, operare in ambienti urbani, catturare capisaldi e occuparsi della soppressione di eventuali sacche di resistenza by-passate dalle forze corazzate.
L’impiego teorizzato di semicingolati dovette fare i conti con l’incapacità dell’industria tedesca di fornirne in numero sufficiente, obbligando l’Heer a ripiegare sull’utilizzo di camion e motociclette e assegnando i pochi semicingolati disponibili alle unità ricognizione e comando. Basti pensare che nel 1943 solo un decimo dei 225 battaglioni di fanteria meccanizzata venne equipaggiato con blindati. I famosi Sdkfz 251, veicoli creati ad hoc per lo scopo e che sono rimasti, nell’immaginario comune, uno dei simboli stessi della Wehrmacht, furono molto più rari di quanto i documenti fotografici dell’epoca tendono a far credere.
L’inizio del secondo conflitto mondiale vide comunque l’applicazione tattica di buona parte dei concetti espressi da Guderian, il quale oltretutto si trovò in prima linea ad attuare personalmente le innovazioni che rivoluzionarono la guerra moderna. Quattro divisioni di fanteria meccanizzata (2°, 13°, 20° e 29°) operarono in Polonia, nel 1939. Tali divisioni erano strutturate come le normali di fanteria, formate da tre reggimenti di quattro battaglioni. Le lezioni apprese con il passaggio dalla teoria alla pratica dei campi di battaglia portò alla riduzione dei battaglioni e alla creazioni di altre nove divisioni meccanizzate, tre delle quali composte da SS, entro il 1941. Le nuove unità di fanteria venivano indicate come Leichte Divisionen. Nell’estate del 1942 l’Alto Comando decise l’inserimento di un battaglione corazzato, aumentandone notevolmente il potenziale offensivo.
Con il progredire della guerra e a causa delle disastrose sconfitte di El Alamein (Africa 1943) e Stalingrado (Russia 1943) la Germania nazista dovette ristrutturare massicciamente il suo esercito; fra i risultati dell’enorme sforzo di aggiornamento vi fu la nuova designazione delle unità di fanteria motorizzata in panzergrenadiern (granatieri corazzati). La designazione fu introdotta nel Marzo del 1943 per i reggimenti e nel giugno dello stesso anno anche alle divisioni, a seguito della volontà di Hitler di indicare la fanteria con il termine grenadier, per stimolare i soldati sfiduciati dalla piega sfavorevole che iniziava a prendere la guerra, con una delle tipiche blandizie propagandistiche del regime. Sulla carta le nuove divisioni di granatieri corazzati, chiamate anche Tipo 1943, erano così composte: Quartier Generale, due reggimenti di fanteria, un battaglione corazzato (carri e cannoni semoventi) un battaglione anti-carro, un reggimento d’artiglieria, uno contraereo e varie unità di supporto per un totale di 14.997 uomini e 415 ufficiali. Nel corso del conflitto, con l’aumentare delle perdite, la composizione variò più volte. In tutto furono 15 le divisioni panzergrenadiern.
L’unità di base, la squadra di fucilieri, era formata da 12 uomini al comando di un sottufficiale (Unteroffizier) coadiuvato da un caporalmaggiore (Obergefreiter) il quale poteva prendere il comando di metà degli uomini nel caso vi fosse stata la necessità di dividersi. Il resto degli uomini era così diviso, secondo i manuali anche se la realtà poi mostrò combinazioni differenti (soprattutto nell’ultimo periodo di guerra): sei fucilieri, due sezioni mitragliatrici leggere, ognuna con due uomini, autista e assistente addetti al veicolo che, salvo situazioni straordinarie, non abbandonavano durante l’azione. Indipendentemente dai veicoli a bordo dei quali venivano trasportate, le squadre, una volta sbarcate (solitamente a 400 metri dalla linea di combattimento) operavano come normali unità di fanteria, nei ruoli di competenza quali assalto di postazioni fortificate ed eliminazione delle sacche di resistenza sorpassate dai carri armati. Il compito principale dei fucilieri era coprire gli spostamenti delle sezioni mg, alle quali spettava il compito di liquidare i bersagli ostili. Le elevate prestazioni delle mg34 e della superba mg42 avevano pesantemente influenzato gli studi tattici tedeschi, al punto che la squadra di fucilieri era al servizio della mitragliatrice, a differenza degli altri eserciti coinvolti nella seconda guerra mondiale.
A livello superiore (battaglione-reggimento), invece, l’avvicendamento con i mezzi corazzati era descritto nei manuali come Pulk (panzer und lastkraftwagen- Carri e camion) che prevedeva una formazione a cuneo con i migliori carri armati in punta, la fanteria motorizzata al centro e ai lati con i carri armati medi e i cannoni semoventi. Attaccato il punto debole nemico, i carri proseguivano con l’aggiramento, secondo la tattica volta alla creazione di sacche (Kesseln) entro le quali intrappolare le forze combattenti avversarie impedendo l’arrivo dei rifornimenti. Parte della fanteria, invece, si occupava di rendere sicuro il luogo dello sfondamento, mentre il resto proseguiva la cooperazione con le forze corazzate disponendo posti di blocco e postazioni fortificate per sigillare l’area, mano a mano che la “sacca” si chiudeva.
Elenco delle divisioni di panzergrenadiern: 3°, 10°, 15°, 16°, 18°, 20°, 25°, 29°, 90°, Grossdeutschland, Sizilien, Kurmak, Brandeburg (nata come formazione speciale, poi divisione ordinaria dal 1943), Feldherrhalle, Wiking. Oltre alle 15 standard dell’elenco vanno menzionate anche le seguenti, pur avendo storia e organizzazione leggermente differenti: 233°(reserve-panzer divisionen) e Fuhrer Grenadier.
BIBLIOGRAFIA
Hughes M./Mann C., “Fighting techniques of a panzergrenadier”, MBI ed., 2000.
Guderian H., “Achtung-Panzer”, Arms and armour press, 1992.
Bishop C., “Le divisioni panzergrenadier 1939-1945”, L'Airone, 2008.
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