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Immagine del redattoreGiovanni Melappioni

La Nuova Inghilterra del Caucaso. Una leggenda medievale.

La storia degli esuli anglosassoni di Crimea non ha solide prove a suo sostegno, poggia principalmente sul il mito e sulla leggenda. Fatta la dovuta premessa sono convinto che, come tutte le belle storie, meriti almeno di essere raccontata. C'è, poi, un piccolo barlume di plausibilità che continua caparbio a brillare in mezzo agli aliti di chi lo vorrebbe spegnere per relegare l’intera vicenda fuori dal reparto saggi delle librerie e affiancarla alle gesta narrate da Omero e Chetrien de Troyes.


Per quanto riguarda le cronache, i testi che ne parlano sono quattro: una nota scritta verso il 1090 da parte di Guescelin di Canterbury; un’altra semplice annotazione, non più esauriente della prima, la troviamo in Orderico Vitale; esiste poi una cronaca vera e propria contenuta nel Chorinicon Universale dell’Anonimo Laudunensis, un monaco inglese del tredicesimo secolo; infine la Saga d’Islanda di Edoardo il Confessore, la quale potrebbe non essere altro che un sunto, ricco di invenzioni, di cronache precedenti. Vi sono poi degli indizi geografici e delle coincidenze storiche che possono supportare, ma non dimostrare inconfutabilmente, alcune supposizioni.

Analizzerò criticamente nella seconda parte di questo approfondimento tutto il materiale disponibile. Adesso, invece, è tempo che inizi a narrare...

Nell’anno del Signore 1075, stando alla cronaca dell’Anonimo Laudonensis, Stanardus (Sigurd o Siward, in lingua sassone) conte di Gloucester, fiero oppositore anglosassone ai nuovi dominatori normanni, partì dalle coste meridionali dell’Inghilterra con 235 navi e circa cinquemila fra uomini, donne e bambini. La Saga di Edoardo cita l’evento in concomitanza con la morte di Sweyn II figlio di Estrid, re di Danimarca e ultimo baluardo di speranza per gli anglosassoni. La Saga in sé non fu concepita per raccontare questa vicenda ma la presenza di tanti dettagli fa pensare alla necessità di legare tutto quanto narrato in essa a un evento storico noto: un’operazione comune negli autori del passato per poter collocare temporalmente il proprio scritto senza che potessero sorgere dubbi nei lettori.


Se il Siward alla guida di questi esuli fu lo stesso che Guglielmo aveva sconfitto e imprigionato nel 1071 si può ipotizzare un certo aiuto da parte dell’establishment normanno per organizzare il viaggio. In un solo colpo un nemico irriducibile – non ucciso forse per non creare un martire – e tutta la sua gente avrebbero lasciato l’isola per mai più ritornarvi. Un uomo calcolatore come Guglielmo deve aver visto un’opportunità in tutto questo.


Gli esuli navigarono verso sud, costeggiando la Francia occidentale e poi la Spagna e il Portogallo. Arrivarono nei pressi di Ceuta, quasi un punto di passaggio obbligato per chi dall’Atlantico decidesse di gettarsi nel Mediterraneo. La saccheggiarono senza pietà, essendo una città sotto il controllo musulmano. Attaccarono anche Majorca e Minorca, perché comunque si trattava dell’esodo di un popolo guerriero e rapace non certo meno dei tanti odiati normanni. Homo Homini Lupus.


Secondo il Chronicon dell’Anonimo gli Inglesi arrivarono, dopo aver deviato dalla destinazione iniziale (la Sicilia o la Sardegna, non è chiaro) a Costantinopoli. Sembra che la deviazione fosse stata decisa in base alla notizia che la capitale dell’Impero d’Oriente era assediata da un’armata di infedeli (nessun testo ne specifica la nazionalità). Se vogliamo prendere per buona la data del 1075 allora l’imperatore al governo era Michele VII Ducas (1071-1078) ma l’assedio non ha alcuna corrispondenza. A complicare di più le cose c'è il fatto che entrambe le cronache, discordi in moltissimi altri punti, citano Alessio I Comneno come l'imperatore (1081-1118) che accolse Siward e i suoi. Si potrebbe spiegare l’errore ipotizzando che gli autori si siano confusi con quello che divenne uno degli imperatori più attivi nel reclutare uomini dell’isola di Thule – come i bizantini chiamavano l’Inghilterra. Un po’ forzato ma di meglio, al momento, non abbiamo.


Chiunque fosse l’imperatore, egli fu grato per l’aiuto inaspettato e risolutore degli anglosassoni. Vinti i nemici, ai nobili equipaggi di Siward venne offerto di rimanere nella capitale e servire nella celeberrima Guardia Variaga. Alcuni accettarono il servizio militare a Miklagard, come veniva chiamata la città dalle popolazioni del nord Europa, ma il conte Siward e altri capi pregarono l’imperatore per avere delle città che potessero essere loro e dei propri eredi dopo di essi. L’imperatore pensò allora a certe terre a settentrione del suo impero che appartennero ai suoi predecessori e che ora erano cadute nelle mani di popoli infedeli. Egli promise il pieno possesso agli esuli se fossero riusciti a strapparle agli attuali abitanti.

Lasciarono i porti amici di Costantinopoli incaricati, per così dire, dall'imperatore stesso di liberare dal giogo pagano una porzione di terra "a sei giorni e sei notti di navigazione a nord est della capitale imperiale" nella quale avrebbero poi potuto insediarsi come sudditi di Bisanzio, Siward Barn e i suoi seguaci attraversano il Mar Nero e giunsero infine nel luogo che divenne la loro nuova patria. La Nova Anglia di cui ci fanno sapere le cronache interessate alla vicenda, il Chorinicon Universale dell’Anonimo Laudunensis e la Edwardsaga - La Saga d’Islanda di Edoardo il Confessore.

La leggenda termina così.


Proverò adesso ad analizzare criticamente ogni indizio. Vediamo dove ci porteranno. 


Partiamo da quell'indicazione temporale: i sei giorni di navigazione che separano la Nova Anglia da Costantinopoli stando alla Edwardsaga- 

Il geografo arabo Idrisi, a metà del XII secolo, redasse una serie di indicazioni di rotta per la navigazione nel Mar Nero. Egli attestava, fra l'altro per prova empirica, di aver raggiunto Trebizonda dalla foce del Danubio in nove giorni. Il vescovo metropolita di Mosca, sul finire del trecento, compie la traversata da Caffa, in Crimea a Sinope, in cinque giorni. Secondo Eustachio di Tessalonica, sul finire del XII secolo marinai esperti a bordo di un ottimo vascello avrebbero attraversato l'intera estensione di quel mare interno in poco più di tre giorni, sfruttando le correnti molto particolari che ancora oggi caratterizzato il bacino. Una flotta mista, navigando in formazione e pertanto dovendo conformare la velocità sulle navi più lente, magari guidata da esperti piloti locali ma comunque armata da uomini non avvezzi a quei flutti, in "sei giorni", navigando a nord nord-est, giungerà all'incirca in Crimea. Proprio lì infatti ci condurranno gli altri indizi di questa vicenda. 


A corroborare la tesi della Crimea, e del Mare di Azov, vi sono alcuni scritti bizantini che possiamo giudicare neutri e per quanto scarni, molto interessanti. Teofilatto di Ocrida, contemporaneo degli eventi della saga di Siward, scrive due lettere nelle quali si rallegra per la liberazione dell'area "a settentrione del Mar Nero, inclusa fra l'ansa del Don - e quindi il Mare di Azov, in Crimea - e la Colchide, all'estremità di levante del Mar Nero. A compiere l'impresa di scacciare i nemici pagani (presumibilmente turchi danishmend) dall'area è Gregorio il Taronita il quale riceve la carica di dux dall'imperatore Alessio I Comneno per i meriti di guerra. Una guerra condotta proprio quando agli uomini di Siward fu affidato il compito di combattere a est, con la promessa di ricevere come proprie le terre che essi avessero liberato. Molto indiziaria come prova ma ci consente di legare le due vicende, quella leggendaria e quella storica, in un contesto di plausibilità. 


Anche la toponomastica offre spunti notevoli. Mi rifaccio al testo di A. Nodenskiold "Periplus: An Essay on the early history of Charts and Sailing direction", un'analisi dei portolani dal quattordicesimo al sedicesimo secolo. Nelle sezioni dedicate al Mar Nero compaiono, con nomi diversi e non sempre con la precisione di google earth, cinque toponimi che meritano un'analisi specifica. Varangolimen, Vagropoli, Varangido Agaria, Londina e Susaco.

Partiamo da Susaco: la derivazione non è mai stata scoperta, langue pertanto nel limbo della linguistica geografica. I candidati principali sono i Chapsoug, una tribù di Circassi di quell'area, ma non è fantascienza volerci vedere una storpiatura di Saxon, non vi pare? Londina richiama fin troppo il nome Londinium. Il toponimo è associato a un fiume ma, dato che le cronache ci avvertono che gli anglosassoni diedero i nomi delle loro città ai luoghi che andarono ad abitare, un dubbio rimane. I primi tre nomi vanno trattati con molta cautela perché il fatto che la Guardia Variaga abbia questo nome deriva dalle popolazioni di stirpe Rus dell'area dell'Ucraina, da dove giunsero i primi seimila guerrieri a formare il celeberrimo corpo d'élite. Sta di fatto che tre cittadelle ebbero questo nome ma nessuna regione, né area geografica. Sembra quasi una scelta mirata a stabilire non tanto l'etnicità degli abitanti dell'area quanto quella degli aventi potere entro le mura. 


Aggiungo, gettando altri "variaghi sul fuoco", che nel Vizantiiskii vremenni di K.N. Iuzbashian, una raccolta di documenti inerenti l'antico regno di Georgia, si trova una pergamena che attesta la partecipazione, al fianco di re David II il Costruttore, di un corpo di guerrieri di stirpe europea, armati di asce a due mani, di lingua prevalentemente inglese, durante la battaglia di Tiflis il 15 agosto 1121. Se ipotizziamo la Crimea come base operativa degli esuli anglosassoni non facciamo che rafforzare l'idea che essi fossero proprio lì, ai confini del regno di David II, quando questi li ingaggiò. 

Nel 1246 Papa Innocenzo IV inviò dei frati francescani verso i territori dei Mongoli con lo scopo di convertire il loro Gran Khan al cristianesimo o almeno di sensibilizzarlo al pericolo dei Turchi. Guidati da Giovanni da Pian del Carpine, Benedetto da Pola, Stefano di Boemia e Ceslao di Boemia, viaggiarono attraverso i Balcani e poi il Caucaso. Nel lungo percorso essi registrarono le meraviglie di cui furono testimoni, i popoli che incontrarono e i luoghi. Nel paragrafo del Carpine denominato "Relazione sui Tartari", coincidente con le relazioni degli altri due di Boemia, scritte in diversi tempi, si fa menzione della popolazione dei Saxi abitanti nella Terram Saxorum a sud di Kiev. Essi erano "cristiani che scambiammo per Goti" (quos nos credimus esse Gothos - parole di Giovanni del Piano). Esistono popolazioni, come gli antenati dei ceceni (Chaxan in lingua osseta) e i Sarmati Sauni che potrebbero essere quelle incontrate dai monaci in missione diplomatica. Non si fa menzione della lingua che essi parlavano, ma resta quell'incognita sul fraintendimento razziale: li scambiarono per germani ma germani non erano, evidentemente. Non è sufficiente a escludere le popolazioni locali pur lasciando aperto uno spiraglio dato che anglosassoni e germani ebbero caratteristiche fisiche alquanto similari. 



Sono questi tutti gli affascinanti indizi a nostra disposizione. Non ne esistono altri e men che meno abbiamo, purtroppo, prove incontrovertibili. Rimane la scelta, libera ma non scientifica, di credere che Siward Barn abbia davvero guidato il suo popolo in esilio fin là. Nell'equilibrio fra rigore storico e romanticismo letterario con il quale affronto ogni argomento posso solo dire che lascerò uno spiraglio sempre aperto alla loro avventura, nell'attesa che qualcuno possa un giorno trovare solide basi sulle quali poggiare questo affascinante mito.



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