Oppositis clipeis et porrectis astis
*opposti gli scudi e sollevate le lance
Ci sono argomenti difficili da maneggiare nel risicato spazio di un blog. In questi ultimi approfondimenti ho voluto parlare del reclutamento in epoca medievale, tenendo bene in mente che dire epoca medievale vuol dire tutto e nulla. Ogni potere d'Europa, in epoche diverse fra loro anche solo di una generazione dall'altra, reclutava e impiegava uomini con modalità diverse.
Non fa eccezione il cosiddetto periodo comunale italiano, il quale non solo è già divisibile in quattro macro-periodi distinti: precomunale, consolare, podestarile e signorile ma è anche caratterizzato da una estrema disomogeneità geografica, politica e sociale. In un simile contesto sarebbe una forzatura tentare di circoscrivere e condensare così molteplici differenze. Ciò non di meno, spazio di manovra ce n'è ancora e posso concentrarmi sulle suggestioni che la vastità del tema comporta. Chiamiamole sottolineature o, se preferite, spigolature.
1. La difesa delle mura.
C'è una caratteristica che contraddistingue ogni forma di città-stato sia dell'antichità che nel medioevo: la sua organizzazione militare primitiva era sempre un riflesso della difesa del suo perimetro. I cittadini di una patria circoscritta alla cerchia muraria e al territorio immediatamente fuori da tale perimetro combattevano in formazioni serrate dalla scarsa efficacia offensiva ma dalla grandissima validità difensiva. Esistono, ovviamente, delle eccezioni. Nel Carmen de gestis Frederici viene ricordato un episodio molto interessante di formazione a cuneo offensiva, messa in campo dai bergamaschi contro i bresciani nel 1156. I cittadini di Bergamo caricano la formazione lineare avversaria e la sfaldano mandando in rotta la fanteria, salvo poi trovarsi accerchiati dai cavalieri bresciani e costretti a disporsi affrettatamente a riccio per non essere annientati.
La formazione principale delle milizie comunali era quindi, utilizzando un termine un po' abusato, il muro di scudi con la differenza che mentre per le popolazioni scarsamente dotate di combattenti a cavallo (norreni e anglosassoni, per esempio), esso era la principale formazione per esigenze sia tattiche che culturali, in un contesto cittadino medievale i cavalieri non erano assenti; solo che non avevano la preponderanza tattica dell'equivalente di altre aree geografiche meno investite dal fenomeno comunale. Vedremo perché nel prossimo punto, intanto occorre sottolineare che fino alla fine del 1100 la collaborazione fra milites e pedites fu stretta, fattiva e venata di un certo cameratismo. Sono molti i cronisti, fra cui spicca il Landolfo Seniore, che narrano di episodi non solo di collaborazione finalizzata agli obiettivi prefissati dalla guerra ma capace anche di andare al di là dei propri ruoli. Cavalieri che tornano da un inseguimento per aiutare i fanti rimasti bloccati da una formazione non ancora sconfitta (Lodi 1160), cavalieri che aiutano nei lavori di genio militare al pari dei fanti (Tortona 1155). Cavalieri che si riorganizzano mentre i fanti resistono e poi attaccano alle spalle (Legnano 1176), invece di darsi alla fuga come fecero tedeschi e inglesi a Bouvines (1204) lasciando le fanterie alla mercé dei milites francesi che ne fecero strage.
Le mura, durante un assedio, divengono il palco di una difesa comune, una livella. Questo aspetto, dal X al XII secolo è la caratteristica principale di un esercito comunale.
2. Signori e cittadini.
Il fenomeno più interessante oggetto, oggi, di rinnovati studi, è quello del passaggio dalla signoria rurale a quella cittadina. Il momento in cui, forti di ben migliori difese, politicamente avvantaggiate (o vantaggiose) perché sedi vescovili, le città vinsero sui signori di campagna. In Francia i signori castellani, termine molto vago che include molte categorie di signori la cui caratteristica peculiare era quella di avere il potere di banno e indipendenza più o meno assoluta da poteri superiori, minarono a lungo la nascita di un regno unitario e furono, contrariamente proprio a quello che fino a oggi è stato insegnato, un freno al fenomeno del feudalesimo. Non legandosi a nessuno, non generavano alcuna scala gerarchica. In Italia, al contrario, le signorie rurali vennero "sconfitte" (più politicamente che militarmente) dalle città. Perfino i piccoli borghi, alla fine, ebbero la meglio sul contado. Qui da me, a Civitanova Marche in provincia di Macerata, si contavano fino al 1075 circa almeno dieci castelli nel territorio circostante il borgo fortificato, indipendenti da esso (legati al vescovo di Fermo, oppure ai monaci di Farfa, oppure indipendenti). Alla metà del secolo successivo solo due continuano a essere citati, il castello di Torliano e quello del Santo Marone, entrambi sotto il controllo dei Boni Homines della coniuratio (l'assemblea) cittadina. I restanti castelli (più case-forti in realtà) furono abbandonati e i proprietari inurbati insieme alle loro milizie private. Questa sorta di parificazione in urbe ha comportato, nei decenni intorno al 1100, un ridimensionamento della componente elitaria della cavalleria. Divenire cavalieri in armatura divenne regolamentato solo dalle capacità finanziarie e di tempo libero da dedicare all'addestramento, senza ingerenze di casta (che sarebbero sorte successivamente). I fanti e i cavalieri, dunque, poco meno di una generazione dopo l'inurbarsi dei cavalieri rustici, erano uomini che lavoravano, pregavano, discuteva in assemblea e, insomma, vivevano, fianco a fianco. Perfino i milites del secondo ordine, quelli che identifichiamo come vassalli diretti dei vescovi delle grandi città, persero col tempo l'esclusiva del combattimento a cavallo, venendo affiancati dai cittadini più abbienti in grado di pagarsi la preparazione e la panoplia necessaria.
3. Porte, quartieri, chiese.
L'ordinamento militare della milizia ruota intorno a tre elementi che caratterizzano non solo militarmente una città. Se la difesa delle mura è la prima, costante, preoccupazione (a causa soprattutto del trittico Saraceni, Normanni e Magiari, le tre stirpi dell'apocalisse che fecero incastellare quasi tutta l'Europa) vuol dire che le sue porte, il punto debole ma imprescindibile dovevano essere per forza di cose dei luoghi sui quali concentrare le attenzioni. Assurgono a simbolo e quasi mai ideologico. Sono fattive, riconoscibili, è un onore difenderle, così come diverrà prestigioso possedere le torri che circondano l'ingresso cittadino. Chi controlla le porte controlla la città. Inoltre, almeno ai primordi, le porte danno nome all'altro elemento: i quartieri. Vi sono altri termine per indicare la suddivisione di un certo numero di edifici ritenuti appartenenti a un luogo entro le mura ben specifico, terzieri, rioni ecc, ma ciò che interessa è che quasi da subito si radica nella mentalità cittadina un'appartenenza ancora più specifica che all'intero comune.
Il quartiere identifica, rende diversi -speciali?-. Fra quartieri si gareggia e si lotta, anche se le mura cittadine dovrebbero rendere tutti identici, cosa che avviene più spesso quando alle porte si presentano nemici odiati da tutti. Ogni quartiere ha una o più chiese. Sono le tre basi di inquadramento delle forze disponibili di una città. Tutti gli uomini abili, nelle fasce d'età stabilite, vengono registrati tramite l'indicazione del quartiere (Padova, Rolandino, XII secolo) delle porte (Milano, Landolfo e successivi, almeno fino alla fine del XII secolo) e così via. Quando c'è la chiamata alle armi, per una spedizione o per operare sul proprio territorio -dunque non la difesa totale dello stato-città, i quartieri vengono scelti a rotazione, all'interno dei quartieri la rotazione riguarda le chiese. Gruppi, solitamente, di 25 uomini sono alla base delle unità tattiche, ma il numero varierà spesso e sebbene non vi siano sufficienti prove è lecito pensare che vi fosse una partizione a partire da multipli comuni, i cui massimali dipendevano dalle varie situazioni demografiche. Una partizione per quarti sembra la più comune per la fanteria. E i cavalieri?
4. I cavalieri.
Il numero di cavalieri cittadini fu in costante calo per tuta l'epoca comunale. Vi sono varie spiegazioni per questo fenomeno, in contrasto per esempio con la crescita demografica dello stesso periodo (pieno duecento, inizi trecento). I due principali sono questi, a mio avviso: l'aumento esponenziale del costo dell'equipaggiamento militare in rapida, rapidissima (maledette balestre!) evoluzione e il disinteresse per la guerra da combattere sul campo per uomini che facevano della politica e delle attività redditizie offerte dal comune il proprio primo impiego.
Insomma, a poco a poco i cittadini che potevano armarsi cavalieri iniziarono a evitare di scendere in campo. Proprio quando il riflesso ossidionale inverso, ossia l'esigenza di un esercito per difendersi e basta,veniva meno per fare spazio alla guerra offensiva, alle cavallate (anche gualdane) per portare guasto nei territori nemici e per fare bottino, azioni di guerra per le quali erano molto più adatti i cavalieri che i fanti (anche se contingenti appiedati non mancarono mai). Vi sono innumerevoli atti giudiziari che mostrano tentativi di disciplinare le cavallerie cittadine, come a Orvieto dove la metà dei cavalieri non si presentò alla chiamata in armi e fu multata di 20 solidi. Firenze nel 1260 poteva mettere in campo solo 1380 cavalieri, un numero molto basso per una delle città più popolose e ricche della penisola del tempo. Considerate che Ezzelino da Romano, nello stesso periodo, poteva reclutarne circa 4 volte tanti. Si risolve guardando all'esterno del territorio, cercando uomini capaci di combattere, muniti di cavallo, armatura, servitori e valletti.
I cavalieri cittadini, sulla falsariga delle corporazioni dei mestieri, sentirono la necessità di regolamentare la propria esperienza e di tutelarsi. Nacquero compagnie e associazioni che si misero al servizio del proprio stesso comune ma con attitudine da imprenditori. Le paghe, i giorni nei quali non condurre operazioni, tutto era regolamentato.
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