Sul finire dell'estate del 1100 il grido di battaglia "Ultreja" nasce per le strade di Milano e si diffonde risuonando in tutto il settentrione d'Italia. Arriva nei territori dei tedeschi e molti di essi rispondono con teutonico ardore. Anche dei franchi si apprestano ma questa resta comunque la nostra "crociata": la crociata dei Lombardi!
La notizia della conquista di Gerusalemme, a seguito dell'Iter Hierosolymitanum del 1096-99, la spedizione che passerà alla storia come Prima Crociata, ebbe un duplice impatto sulla cristianità. Da un lato ci si convinse che fosse stata davvero frutto della volontà di Dio quanto avvenuto, un vero e proprio miracolo; dall'altro i titubanti, gli indecisi, coloro che per un motivo o per un altro non erano partiti sentirono tutto il peso dell'aver mancato l'avvenimento del millennio. "Avresti dovuto esserci!" è forse la frase compiuta più antica della storia dell'umanità; quel sottile piacere nel far crepare d'invidia l'altro è così antico che non si sbaglia molto a immaginare l'australopiteco Lucy sbeffeggiare il resto del branco mentre si stampa nel fango consegnandosi all'eternità. Sul finire dell'anno 1099 i racconti di chi ritornava a casa, compiuto il proprio dovere, si mescolavano fra loro, creando un poliedrico quadro narrativo fatto di prodezze e meraviglie esotiche. Il potere esercitato su chi si era perso il "grande spettacolo" doveva essere enorme. C'è, infine, un altro elemento da tenere in considerazione.
Milano agli inizi del XII secolo è una città in pieno fermento pauperistico. Movimenti riformatori ribollono fra i vicoli e nelle sale, mettono in discussione il potere viziato della Chiesa e ne chiedono a gran voce, spesso con violenza, una riforma in chiave spirituale. Meno oro e più incenso, lasciar stare le lotte di potere secolari e ritornare a guidare il gregge del Signore lungo la via della Salvezza. Non sappiamo con certezza se papa Pasquale II fosse stato artefice e promotore della spedizione o se ne avesse accolto subito i presupposti su suggerimento dell'arcivescovo Anselmo da Bovisio. Le fonti divergono.
Questi i presupposti, ora non ci serve che un protagonista.
Seguiremo l'intera spedizione attraverso gli occhi di Rinaldo figlio di Rodaldo (Trattasi di nomi fittizi) un giovane imbevuto di epica guerresca, figlio secondogenito di nobile schiatta desideroso di trovare la propria via al di fuori dello stretto ambiente famigliare dove sono il padre e il fratello maggiore a godere di tutti i vantaggi della loro nobile nascita. Non sapremo mai con precisione quali siano state le reali motivazioni della decisione di Anselmo IV e dei suoi sostenitori dietro la scelta di partire per l'Oriente. Una certa tendenza millenaristica, per così dire, era presente nella "corte" arcivescovile: come abbiamo visto Anselmo veniva dal popolo e non dalle élite ecclesiastiche che tentavano di riprendersi Milano dopo gli episodi della pataria.
Inoltre Pasquale II, papa ufficiale contrapposto all'antipapa Clemente, diede subito il suo placet. Questo la dice lunga sulle reali intenzioni della Curia romana nello stimolare, proprio nei ceti più bassi del nord Italia, lo spirito e il fervore del Pellegrinaggio Sacro. Così come per Urbano II la predicazione all'Iter era stata anche scusa per liberare, in parte, l'Europa dei suoi elementi più brutali e riottosi -i numerosi armati che difficilmente trovavano collocazione nella società senza l'uso della spada- adesso era il suo successore, in un'area più limitata, a sfruttare questo espediente per disfarsi dei residui più ostici dei movimenti pauperistici che avevano sconvolto Milano e dintorni. Quella mattina Rinaldo scopre, con grande emozione, che le voci su una possibile adunata dei guerrieri sono vere. Un messo inviato dalla sede vescovile è infatti giunto presso il castello di famiglia. L'uomo ha cavalcato per campi e tenute tutto il giorno e si concede giusto il tempo per un breve ristoro mentre nella grande sala di Rodaldo, padre di Rinaldo, comunica quanto l'Arcivescovo ha in programma. Lui e i grandi signori di Mediolanum partiranno a breve per l'Oriente. Liberata Gerusalemme, "capitale" della cristianità, occorre dare il colpo decisivo al nemico dell'Uomo e di Dio, distruggere gli adoratori del falso profeta Maometto fin dentro il cuore pulsante del loro diabolico regno: Babilonia.
Babilonia è il grande nemico, la Bestia incarnata e fattasi luogo. Una città che non ha contorni o mura precise, perché a seconda dei cronisti essa è Il Cairo, Baghdad o Gerusalemme stessa. Tornerò in seguito a parlare dei piani preliminari, perché come vedremo non erano così forti e univoci come accadde per i contingenti della Prima Crociata, tutt'altro. "Padre, andrò io!" deve aver detto, con il cuore gonfio di emozione, il giovane Rinaldo. Figlio terzogenito, vive ancora nella casa paterna ma sa che dovrà lasciarla se non vorrà vivere nell'ombra del fratello maggiore. Potrà farlo legandosi a qualche nobile o girovagando in attesa che la sua preparazione militare faccia comodo a qualcuno, comunque è con l'esercizio delle armi che si guadagnerà da vivere. Allora perché non accettare l'invito del vescovo -probabilmente un ordine, più che un invito, a rendere qualche armato per la spedizione- e risolvere il problema del futuro con un'occasione assolutamente unica?
Rodaldo benedice il figlio e gli fa dono di alcuni oggetti che il giovane sa ben utilizzare ma non ha mai davvero posseduto: una spada, una cintura, una cotta di anelli di ferro con un elmo di forma conica recante i colori della sua casa. Uno scudo, di solido legno, ricoperto di stoffa e gesso. E poi due cavalli, di eguale forza, in grado di sopportare le asprezze del viaggio e del combattimento. Due uomini lo accompagneranno per occuparsi di tutte le sue esigenze. Rinaldo sceglie due amici, due giovani come lui ma figli dei servitori del castello. Con loro ha imparato a muoversi fra le selve, a cacciare bestie selvatiche e giovani contadinelle. Sono i compagni ideali per quel viaggio e per quanto le asprezze di una simile impresa possano aver impensierito i due popolani devono anch'essi aver pensato che fosse giunta la loro occasione per un futuro ben più fortunato di quello delle proprie famiglie. Si armano anche loro come meglio possono, aiutati dagli amici e dai parenti. Rodaldo fa a sua volta dei doni ai due scherani. Rodaldo sta, nella sua mente, allestendo la sua personale crociata e l'orgoglio per la partenza del figlio lo rende generoso ben più di quanto si sia abituati a vedere a Castel Agunto.
La schiera, radunatasi presso i campi fuori dalle porte della città di Milano, cresce ogni giorno di più. Il contado si trasforma in un accampamento e poi in una sorta di villaggio multiforme, privo di qualsiasi logica urbana giacché chi arriva si sistema dove trova posto. I ruscelli e i corsi d'acqua sono i più densamente popolati. Si creano di sicuro dispute per il cibo, e vecchi nemici costretti a stare gomito a gomito ogni tanto vengono alle mani ma sembra che in linea generale l'ordine sia stato mantenuto e le cronache sorvolano senza particolari riferimenti a problemi di coesistenza.
Rinaldo, mentre i suoi servitori sistemano alla meglio il piccolo bivacco che li ospiterà fino alla partenza, va a conoscere i capi della spedizione. Si terrà una messa solenne nella basilica e Anselmo ha invitato tutti i Capitanei e i nobili cavalieri a presiedere. A guidare la spedizione saranno i fratelli Alberto e Guido di Briandate, coadiuvati da Ugo di Montebello e Ottone Altaspada. C'è anche Guido conte di Parma che ha portato un contingente di giovani cavalieri dalla città.
Le cronache, come dicevo, sono contraddittorie sulla destinazione della crociata. Di sicuro c'era l'intenzione sin dall'inizio di attraversare i Balcani, percorrendo le strade che conducevano a Costantinopoli e da lì attraversare il Bosforo per l'Anatolia. Vi erano dei contingenti dalla Francia e dall'Impero germanico in marcia, la notizia potrebbe essere giunta prima della partenza di Anselmo e dunque l'inevitabile tappa a Costantinopoli potrebbe avere avuto anche lo scopo di organizzare il ricongiungimento delle colonne in un punto quantomeno noto a tutti. Come vedremo la notizia della prigionia di Boemondo di Taranto, signore di Antiochia, rappresenterà il centro di tutte le decisione lombarde, ma solo a partire dall'arrivo dei crociati a Bisanzio. Per il momento dobbiamo accontentarci di ciò che conosciamo: il percorso.
Rinaldo non ha mai lasciato i confini della sua terra quando, nel settembre del 1100, parte l'oste italica. Già solo attraversare in lungo e largo le valli della Carnia, con l'obiettivo di trovare capi di bestiame per sfamare un numero così impressionante di genti incolonnate -si stimano in circa 30.000 i partecipanti, di cui solo un decimo però veri combattenti- è per lui una meravigliosa avventura. I crociati percorrono i territori dei Bulgari senza apparenti incidenti. I primi guai accadono quando, raggiunti dagli inviati dell'imperatore Alessio I Comneno, vengono suddivisi in gruppi troppo numerosi fra le tre maggiori città bizantine del nord: Adrianopoli, Filippopoli e Rodosto. L'imperatore aveva concesso uno speciale permesso per commerciare nei mercati controllati dell'Impero ma le trattative pacifiche lasciarono ben presto il posto ai tafferugli e alle angherie verso la popolazione indigena, quando i prezzi salirono a causa delle difficoltà di approvvigionamento. Forti del numero Rinaldo e i suoi compaesani si dispersero per le campagne saccheggiando e derubando.
Rinaldo non si tira certo indietro. La sua è una missione Santa che non può certo essere messa in pericolo per colpa del cibo troppo caro. Gli "scismatici" sono infidi e fin troppo diversi negli aspetti e negli usi dai lombardi. Sembrano tramare in continuazione e i loro funzionari giudicano dall'alto al basso i gloriosi capi dell'esercito del Cristo. Le ruberie si protraggono finché Alessio, esasperato, non da l'ordine di far ripartire le colonne. Rinaldo e tutti i suoi compagni rimangono assolutamente di stucco quando arrivano in vista della città di Costantinopoli... Uno spettacolo che mozza loro il fiato (ma che non impedirà di compiere altre scelleratezze, come vedremo).
L'imperatore dei romani, Alessio I, si ricordava fin troppo bene cosa potevano combinare i pellegrini cristiani giunti dall'Europa per "aiutarlo". Cerca quindi, sin da subito, di ingraziarsi i loro comandanti e invia Raimondo di Saint Gilles da loro.
Raimondo è uno dei capi storici della prima crociata. L'unico che ha preso in seria considerazione l'atto di sottomissione che Alessio aveva imposto a tutti i capi della spedizione che tre anni dopo conquistò Gerusalemme. Di lui l'imperatore si fida e in un primo momento anche i conti di Briandate e l'arcivescovo Anselmo sembrano soddisfatti di questo incontro e accettano volentieri una mano da Raimondo il quale si pone, in maniera ufficiosa, a capo della spedizione.
Per il momento Rinaldo e le altre migliaia di compaesani attendono acquartierati alla meglio nei dintorni della città. Possono entrare a piccoli gruppi e rifornirsi ai numerosi mercati che ogni giorno presentano una moltitudine di cibi e bevande.
Rinaldo lascia la compagnia dei suoi servitori e si presenta alle porte con altri cavalieri di nobile lignaggio. Sono alti, forti e giovani, l'effetto sulla popolazione dev'essere di pura ammirazione (o almeno così loro vedono gli sguardi, io credo più che altro preoccupati). Parlano a gesti, sono poche le parole che hanno appreso della lingua locale, finché non incontrano alcuni Lombardi al servizio stabile dell'Imperatore. La gioia per l'incontro porta la comitiva in una taverna e fra spacconate e vini deliziosi il gruppo finisce per divenire così numeroso da somigliare a un piccolo esercito. Fra le tante chiacchiere viene fuori la notizia che le colonne francesi e tedesche -al comando rispettivamente del crociato pavido Stefano di Blois (in cerca di riscatto) e di Corrado conestabile dell'Imperatore dei germani- sono davvero prossime a raggiungere la città. Con il loro numero l'armata dei cristiani diverrà così numerosa che i Turchi maledetti si getteranno in mare piuttosto che cercare di fronteggiarli.
L'entusiasmo dilaga, la notizia si diffonde per gli accampamenti. E mentre Alessio, convinto che grazie alla leadership di Raimondo si sarebbe potuto sbarazzare subito della tumultuosa folla di milanesi ecco che vengono piantate delle grane per non lasciare subito l'accampamento. Tutti vogliono aspettare l'arrivo dei rinforzi e a nulla valgono le parole di esortazione, né le velate minacce, dei capi. Rinaldo è fra i più scalmanati, appende a un paletto il suo scudo e afferma che non partirà finché non sarà adunata l'intera forza dei cristiani. Lo imitano in molti e la situazione si fa subito tesa.
"Perché l'imperatore ci vuole mandare subito via? Non sarà che forse tutto quel che si racconta sui suoi subdoli trucchetti è vero?" gridano Rinaldo e gli altri che hanno avuto modo di sentire i racconti di chi partecipò all'Iter al seguito di Goffredo, Boemondo e compagnia -eroica- bella. All'epoca si andava diffondendo la voce che i "greci" non avevano rispettato i patti, non avevano fornito supporto e rifornimenti e addirittura si erano presi Nicea grazie a uno sporco trucco dopo che i crociati avevano subito varie perdite assaltandone le mura. Alessio li aveva usati come mercenari non pagati!
Insomma, bastarono pochi giorni per ritornare pronti a menare le mani. Alessio divenne nervoso, c'era un esercito sul quale non aveva controllo proprio fuori dalle mura della città. Quando le autorità imperiali bloccano gli accessi alla città e impediscono ai sudditi di commerciare con i "Celti" (come li chiama Anna Comnena) scoppia il caos. Rinaldo e i suoi compagni si gettano contro le mura del Palazzo Balcherne, vicinissimo al loro accampamento e le superano d'impeto. Il palazzo era stato costruito a ridosso delle mura teodosiane per rinforzale in quel tratto e per essere più sicuro in caso di sommovimenti interni alle mura -le rivolte non erano una novità per Costantinopoli-. In questo caso però, data l'impreparazione della milizia bizantina, la vicinanza delle Blacherne lo rese l'obiettivo più vicino e succoso per la marmaglia in armi. I Lombardi saccheggiano la residenza imperiale senza alcun ritegno e uccisero i leoni domestici di Alessio, arrivando anche ad arrostirli per desinare. Un putiferio, praticamente.
I capi della crociata erano con Alessio quando giunse la notizia di quanto stava avvenendo e devono aver sentito le asce dei varangiani risuonare sotto la cote delle barbute guardie dell'imperatore, pronte a fare una strage, perché corsero a fermare i tumulti senza indugio. Il danno però, per quanto più d'onore che economico, era stato fatto e solo l'abile diplomazia incrociata riuscì a ricucire lo strappo: infine le parole di Raimondo vennero ascoltate e la folla accettò di trasferirsi in Asia, nei pressi di Nicomedia. Soluzione che somiglia molto a una medievale sindrome Nimby.
Nel Maggio 1101 i contingenti franchi e germanici raggiungono l'allegra brigata lombarda. I tempi sono ora maturi. Raimondo è acclamato, dai lombardi in maniera un po' freddina, guida e capo della spedizione. Il conte di Tolosa accetta ma doveva aver capito che i numeri, fondamentali per le decisioni, li avevano i conti di Briandate e Alselmo da Bovisio. Egli infatti viaggerà sempre un poco discosto, in mezzo al piccolo contingente bizantino -soprattutto peceneghi- al comando di un certo Tsitas.
Come accennavo in premessa all'articolo, per quanto ci si sforzi di sondare le varie fonti, non è assolutamente chiaro cosa volessero i capi dei Lombardi dalla loro spedizione. Non conosciamo il loro obiettivo, né gli scopi precisi. Sembra che rinforzare le armate reduci della Prima Crociata fosse una delle ragioni ma è plausibile solo per le colonne di Stefano di Blois e del Conestabile Corrado piuttosto che alle volontà dei nostri diretti antenati. Inoltre Raimondo di Tolosa, posto alla guida dell'armata per il suo persoanle prestigio e per i suoi legami diretti con l'imperatore Alessio, non aveva nell'immediato un piano strategico conforme alla volontà degli esaltati pellegrini in armi (per lo più una foltissima marmaglia indisciplinata) e pertanto aveva accettato di buon grado il "consiglio" di Alessio di utilizzare la forza per ristabilire i collegamenti con la Siria, riaprendo alcune vie in Anatolia e lasciando guarnigioni nelle fortezze che fossero riusciti a liberare dai Turchi. Insomma, l'assalto alla fantomatica Babilonia-Baghdad sembra essere il vero motore trainante della massa di pellegrini armati alla meno peggio e dei loro capi pieni di orgoglio.
Frattanto. nell'accampamento dei Lombardi nei pressi di Nicomedia, una voce si era diffusa da poco: Boemondo il Principe di Taranto e valoroso fra i valorosi è caduto prigioniero dei Danishmend – una dinastia turcomanna – catturato dall'emiro Ghazi Gümüshtegin nel corso della battaglia di Melitene (agosto 1100). Se prima di attraversare il Bosforo i Lombardi non avevano mostrato alcuna fretta di partire ora invece una forsennata ansia di correre a liberare Boemondo e con lui distruggere Babilonia dalla fondamenta sembra assalire tutti quanti. Non è da meno il nostro Rinaldo, il quale ha acquistato sempre più influenza fra i suoi pari e ora grida, imitato dalla sua folta schiera "Ultreja Bohemundi!".
Raimondo e Stefano di Blois provano a ricordare che è a Gerusalemme che occorrono rinforzi, ma vengono accusati di gelosia nei confronti di Boemondo e poi, pensano i lombardi, a Gerusalemme i giochi son fatti: Baghdad, semmai, deve essere l'obiettivo finale e solo Boemondo potrà condurre tutti alla vittoria! L'esercito si muove dunque verso oriente, invece che a meridione lungo linea costiera anatolica lungo il percorso della Prima Crociata. I cristiani entrano nel territorio selgiuchide di Kilij Arslan e conquistano di getto Ankara. La città viene consegnata alle autorità imperiali, segno questo che i crociati – la loro maggioranza, almeno – era ancora disposta a dare ascolto ai suoi capi, Raimondo serviva l'imperatore Alessio prima che la "missione" e credo che sia da ascrivere al fatto che stessero compiendo il tragitto desiderato e pertanto non vi era alcun desiderio di discutere sui dettagli "minori" come il possesso di città i cui nomi a stento potevano pronunciare.
Esattamente in questo preciso contesto avviene una trasformazione nel frastagliato mondo turco-musulmano d'Anatolia che cambierà per sempre l'assetto della regione; un evento ancora troppo sottovalutato d molti testi scolastici. I capi dei diversi ceppi tribali turchi comprendono che la marea "europea" può essere contrastata solo concentrando le proprie risorse, seppellendo dissidi e divergenze e colpendo proprio come faceva la cavalleria degli infedeli: come un possente martello! Kilij Arslan chiede quindi immediatamente aiuto a Ridwan di Aleppo e viene contestualmente contattato da Ghazi, l'emiro danishmend il cui territorio era ora sotto l'attacco degli invasati cristiani decisi a strappargli dalle mani Boemondo e per nulla leggeri con la popolazione locale, massacrata e derubata di ogni avere. L'unione dei tre trova subito un punto nel quale arrestare l'armata crociata: Gangra. La fortezza resiste all'assalto e per i crociati la situazione si fa subito complicata. Privati di una base logistica si ritrovano dispersi, incolonnati, in un territorio che già non si era ripreso dalla Prima Crociata, figurarsi ora che l'avevano spogliato di tutto, convinti di abbandonarlo presto.
Anche i più esagitati – Rinaldo stesso così caparbio nelle sue certezze – devono accettare il fatto che non c'è alcuna speranza di proseguire con la tabella di marcia. Raimondo prova a recuperare la situazione suggerendo di muoversi verso nord, raggiungere il Mar Nero e una delle floride città commerciali fedeli all'Impero d'Oriente per riorganizzarsi. Inizialmente sono tutti concordi e la marcia prosegue ordinata per quanto possibile, ma come i turchi iniziano a tormentare i distaccamenti dei foraggiatori, a colpire ora la retroguardia ora l'avanguardia senza mai giungere a uno scontro aperto, la situazione precipita di nuovo.
"Dove ci sta conducendo Raimondo?" grida rabbioso Rinaldo. "Vuol forse farci ammazzare uno a uno, fino all'ultimo, senza avere compiuto la nostra santissima missione?" e così via. Di nuovo i Lombardi insorgono. Sono troppi, troppo arrabbiati e troppo convinti nella loro testardaggine per poter essere persuasi con le buone. Quando obbligano il cambio di marcia e decidono di puntare di nuovo verso il territorio danishmend, i principi delle altre nazioni non possono che accodarsi. L'esercito, ora ridotto a una massa compatta, tormentato dalle continue incursioni turche, attraversa il fiume Halys e penetra nel cuore del territorio danishmend.
Le armate turche riunite decidono che è giunto il momento di attaccare. Utilizzano la tattica favorita, quella del logorante caracollo di arcieri a cavallo, evitando ogni volta che possono il contatto fisico con gli europei. Nei pressi di Maresh, molto probabilmente l'attuale Merzifon, Rinaldo e i suoi compiono più volte delle cariche che finiscono per sfiancare i cavalli senza ottenere alcun risultato. Sono accerchiati ma il nemico è fluido, compatto quando attacca, sfuggente quando si ritira. Sono troppo pochi, poi, i combattenti esperti a disposizione dei cristiani: il Conestabile Corrado ha perduto un terzo dei suoi combattenti in un'imboscata; Stefano di Blois, motivato a mostrare che non è il codardo che taluni mormorano, percorre tutte le colonne e incita e rinsalda gli animi ma ha dalla sua una manciata di cavaliere e nulla più. Il contingente bizantino si ritira, quello che attende l'armata è un massacro inevitabile perciò Tzitas decide di salvare il suo piccolo contingente e saluta tutti quanti con un probabile "gesto dell'ombrello". Raimondo, rimasto solo, si asserraglia su una collina; sa che la fuga è l'unica via di scampo e attende il momento buono. In breve l'esercito si sfalda. Alcuni storici attribuiscono la rotta ai Lombardi. Di sicuro ebbero un ruolo notevole nel cacciarsi in quella trappola ma bisogna dire che i capi crociati non persero molto tempo a darsela a gambe, tutti. Stefano resiste ed è l'ultimo a lasciare il campo, quando viene a conoscenza della fuga di Raimondo nella notte. Chi ha un cavallo si salva, perché i turchi non hanno un piano tattico per il combattimento serrato. Nelle numerose pieghe del loro schieramento riescono a filtrare i principi e le loro scorte personali. La fanteria e gli inermi rimangono dove sono e per loro non vi è alcuna speranza. Anselmo da Bovisio perisce quel giorno, in mezzo ai suoi fedeli più poveri. Sarebbe una forzatura attribuire una precisa volontà di martirio alla sua fine, perché nessuna fonte ci conferma come questa avvenne, sta di fatto che quattro quinti dell'intera armata finiscono massacrati o prigionieri nei pressi del campo. Rinaldo è al fianco di Guido di Briandate quando questi ordina la ritirata. Lascia tutti i suoi averi nell'accampamento e consegna al destino i due servitori armati che l'hanno seguito. Fuggono, i cavalieri lombardi, fra i monti e raggiungono la salvezza dopo furtivi spostamenti notturni.
Concludo con alcune considerazioni sulle conseguenze dirette della sconfitta. Gli emiri turchi passarono all'offensiva e in breve le strade già molto pericolose dell'Anatolia divennero luoghi impraticabili per pellegrini e rinforzi crociati che non fossero quasi interi eserciti. Questo portò enormi vantaggi alle città marinare italiane, le quali divennero di colpo di assoluta importanza per mantenere i contatti con i Regni d'Oltremare. A livello politico, poi, i fatti incrinarono i tentativi diplomatici di Costantinopoli di mantenere l'equilibrio nella regione. L'unione fra le stirpi turche funzionò e la politica del dividi e controlla di Alessio subì una forte battuta d'arresto. In occidente inoltre la reputazione dei "greci" calò ai minimi storici dal 1054 (anno del Grande Scisma), e quando Boemondo venne infine liberato, nel 1103, e ritornò in Europa, attuò una politica anti-bizantina che suscitò emozioni pari quasi a quelle di una crociata. Nel 1107 attaccherà proprio l'Impero d'Oriente con l'armata appena radunata. Fatti, questi ultimi, che racconto nel ciclo letterario Il giglio e Il grifone.
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