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Immagine del redattoreGiovanni Melappioni

La battaglia di Ortona


Alcuni fatti storici, comprese sanguinose battaglie, possono sbiadire nel ricordo a causa della fama acquisita da altri fronti, altri fatti d’arme divenuti famosi a livello internazionale. Divengono così "scontri minori" nel quadro generale più ampio. Minori! Certo, possono esserlo per osservatori esterni, lontani nel tempo, o per i Quartier Generali. La verità però è che in guerra non esistono battaglie “minori” per gli uomini e le donne che vi sono coinvolti.



Uno di questi casi è la Battaglia di Ortona, combattuta nel Dicembre 1943 la quale, per quanto relativamente breve, meritò l’accostamento con i terribili combattimenti di Stalingrado (W. Churchill la definì “la piccola Stalingrado”), dove l’intera VI Armata tedesca venne accerchiata e annientata dai russi nell’inverno del 1942, dopo mesi di scontri fra le rovine e la macerie della città sovietica.

Offuscata dagli scontri del mese successivo presso il monastero di Cassino e la valle del Liri, sul versante tirrenico della penisola italiana, la storia di Ortona non ha mai ricevuto la giusta attenzione e collocazione per la sua importanza tattica e strategica e, non certo motivazione minore, per la popolazione civile che soffrì la distruzione pressoché completa del centro abitato.



L’antefatto principale avviene il 10 Settembre 1943, all’incirca all’una di notte, quando la corvetta della regia marina “Baionetta” alla fonda nel porto di Ortona imbarcò Re Vittorio Emanuele III e il suo staff, destinazione Brindisi, per consegnarsi agli Alleati. Lo stesso giorno arrivarono nei pressi della città le prime formazioni tedesche, in particolare ufficiali del genio e relativi uomini che minarono i pontili e forze di ricognizione avanzata, per lo studio del territorio circostante in previsione della VIII Armata britannica, competente in quel periodo della costa adriatica.

Il 24 Settembre reggimenti della Werhmacht occupano le alture circostanti mentre nel centro cittadino si installano i veterani della I divisione paracadutisti, nello specifico due battaglioni del III reggimento. I rapporti con la popolazione locale sono generalmente neutri, non si era ancora giunti al contrasto diretto nei confronti di quelli che non era ben chiaro se fossero forze amiche o occupanti. Ciò nonostante venne proclamata la legge marziale e numerosi proclami avvisavano la popolazione di rappresaglie qualora avessero ostacolato o addirittura attaccato le forze germaniche. I circa diecimila abitanti vennero anche avvisati che il fronte avrebbe attraversato Ortona e furono invitati a lasciare l’abitato. Non tutti vollero farlo.



Gli ordini del Fuhrer per le sue truppe d’elite, i fallschirmjagern (paracadutisti), erano di “combattere per ogni singola casa o albero” e i parà si predisposero per lo scopo. Esperti del combattimento urbano si disposero secondo la tattica dell’incanalamento: nidi di mitragliatrici e squadra pesantemente armate ma molto mobili creavano dei corridoi fra i vicoli che avrebbero portato gli attaccanti a tentare manovre di aggiramento, finendo a quel punto verso piazzeforti ancora più munite o edifici completamente minati che venivano fatti esplodere a distanza. I punti chiave della difesa, come ad esempio Casa Berardi o il crocevia Cider, a cavallo della statale Maruccina, furono trasformati in piccole fortezze, rinforzati quanto più possibile, anche con materiale requisito ai civili.

I preparativi furono improvvisamente interrotti a Novembre, con l’inizio dei primi bombardamenti tattici volti a spianare la strada alla I Divisone di fanteria canadese, da poco giunta al fronte per rilevare la duramente provata LXXVII divisione inglese. Il 6 Dicembre è la data ufficialmente accettata per l’inizio degli scontri ma già il 3 si era combattuto per la conquista di Lanciano e presso il fiume Moro, passi fondamentali per la cattura di San Leonardo e la conversione verso Ortona, la cui conquista era di vitale importanza sia per il porto di cui è dotata che per la messa in sicurezza della statale adriatica, fondamentale per l’avanzata Alleata.

Spettò alla II Brigata canadese del Reggimento “Loyal Edmonton” attaccare il centro abitato ed fu contro di essa che i reparti tedeschi combatteranno la sanguinosissima battaglia urbana nei giorni a seguire.



Il 19 i tedeschi abbandonarono la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli e la sera dello stesso giorno venne raggiunta Piazza della Vittoria. In Corso Vittorio Emanuele la formidabile difesa approntata dai parà bloccò, però, l’avanzata gettando nel caos le formazioni canadesi che si prefiguravano, a quel punto, una facile vittoria. Dodici carri armati Sherman accompagnavano la fanteria ma le macerie del caseggiato bombardato e quelle degli edifici minati fatti esplodere, a volte con intere squadre all’interno, resero difficile l’utilizzo dei carri, quando non deleterio a causa dello scarsissimo spazio di manovra e la facilità con cui potevano essere messi fuori combattimento aggirandoli grazie agli altri innumerevoli ripari. Lo scontro rimase in mano alla fanteria, proprio come a Stalingrado. Piccoli gruppi di soldati si muovevano fra le case abbattendo i muri con i lanciarazzi PIAT o con cariche di demolizione fabbricate sul posto, per evitare le strade dove da ambo le parti i cecchini e i nidi di mitragliatrici falciavano chiunque incrociasse i loro archi di tiro. Si trattò di una battaglia fatta di pistole, lanciafiamme, granate; corpo a corpo di badili e coltelli. Una battaglia snervante, terribile e tragica, fra i civili che cercavano riparo nei solai o nelle cantine, solo per rimanere coinvolti nella distruzione che il destino e uomini sconosciuti servirono loro in quel freddo inverno del ’43.

Il 23 Dicembre i tedeschi furono quasi del tutto scacciati dal Corso ma piccole pattuglie continuano a infiltrarsi e minare le posizioni che i canadesi pensavano ormai sicure, come quando il geniere Karl Bayerlein riuscì a piazzare una carica di esplosivo in un edificio occupato da decine di soldati alleati, provocando la morte di tutti ad eccezione di uno soltanto di loro. Attacco subito replicato da due sconosciuti canadesi che fecero crollare una palazzina di tre piani con due squadre tedesche, utilizzando lo stesso metodo.





Nonostante le enormi difficoltà fra il 22 e il 23 dicembre il Corso venne liberato e non restava che assaltare il centro storico, in particolare piazza San Tommaso, dove il grosso dei superstiti tedeschi si erano asserragliati. Il 25, mentre i soldati consumarono, con un sistema di turnazione, un magro pranzo di natale presso la Chiesa di S.M. di Costantinopoli venne completato l’accerchiamento ma ci vollero altri tre giorni per scacciare definitivamente i Fallschirmjager da Ortona. Il 28 infatti il gen. Heidrich diede l’ordine di ritirarsi ai suoi uomini che si mossero, senza mai smettere di combattere, verso le alture dell’Appennino, pronte a riprendere la lotta contro il nemico.


Per la conquista di Ortona perirono 1.500 civili (1.314 abitanti del centro urbano vero e proprio) , 1.375 soldati canadesi (un quarto delle loro perdite totali durante la Campagna d’Italia) e un numero mai stabilito di tedeschi (almeno un migliaio).

Si calcola che più del 85% delle costruzioni furono danneggiate o distrutte negli otto giorni di combattimento.


I dati risultanti, considerata la superficie dello scontro, la relativamente breve durata e l’esiguità delle forze contrapposte, sono la chiara testimonianza della violenza estrema che si raggiunse in quei giorni. Ortona fu insignita della Medaglia d’Oro al Valor Civile per la distruzione subita e la forza dimostrata dai cittadini durante gli scontri a eterna memoria per le generazioni future.



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