Un documento d'archivio di grandissimo interesse riporta che nel 920 d.C. venticinque uomini liberi, con rispettive famiglie, servi e clienti, si sono stabiliti “propter metum paganorum” ossia per paura dei pagani, gli Ungari in questo caso, entro il fortilizio di Nogara, appartenente alla confraternita di Nonantola.
Erano abitanti delle zone limitrofe costretti ad abbandonare le proprie terre per le devastanti incursioni dei cavalieri magiari o Ungari che dir si voglia. In Nogara hanno edificato delle case, in legno riporta il documento e hanno trovato una precaria stabilità. Ora, forse un anno dopo il loro arrivo o giù di lì, chiesero di poter ricevere in livello la terra che hanno occupato dentro la fortificazione, e di poter sfruttare la selva vicina, di poter pascolare gli animali che hanno condotto con sé nei terreni adiacenti il castro ma non più lontano, perché -dicono esplicitamente- hanno paura dei pagani.
In cambio “cum summo studio, cura et sollecitudine conciare [castro] debeamus, vigilare et custodire” si impegnavano a mantenere efficienti le strutture dell’intero castello, di costituirne guarnigione e di custodirlo in nome dell’abazia. Ogni anno, inoltre, per i successivi ventinove anni di durata del contratto, i venticinque uomini avrebbero pagato un “denario bono”, un buon denaro. Alla fine del contratto avrebbero potuto portare fuori tutti i loro beni mobili per andare dove avessero voluto, da uomini liberi.
Già questo renderebbe il documento molto interessante, una testimonianza del periodo delle incursioni dei magiari e di come la popolazione tentasse di mettersi al sicuro MA, c’è un bel ma, un cambiamento più grande prese forma da queste precauzioni difensive. Come si nota nel documento, non c’è traccia di concessione di terre da coltivare. I venticinque uomini liberi dovevano temere che non vi fosse molto da guadagnare dal coltivare campi se da un momento all’altro una banda di predoni sarebbe potuto comparire devastando tutto, o al limite impedendo i lavori agricoli dato che tutti si sarebbero rifugiati nel castello in attesa che l’orda se ne andasse. Questo elemento evidenzia la temporaneità della richiesta dei venticinque, così come la loro subordinazione all’abazia. Quando hanno stipulato il contratto pensavano a qualcosa di temporaneo: facciamo legna, pascoliamo gli animali, sì, vi siamo tributari, sì, dobbiamo in pratica badare al castello ma alla fine ce ne andremo e tanti saluti, tutti LIBERI come prima.
Invece, nel 936, un nuovo contratto definisce meglio la situazione che si è venuta a creare. Sempre con lo stesso censo annuo, sempre con gli stessi doveri, questa volta trentaquattro capi famiglia stipulano un accordo per lo sfruttamento agricolo dei terreni dentro e intorno al castello. Cosa ben più importante, viene annullata la clausola temporale del contratto e in cambio dell’esenzione da ogni tassa sulle colture degli orti (ma non dei campi più estesi) la situazione all’interno del castello diventa stabile, vitali ed ereditari.
Certo, in apparenza si tratta di un bel guadagno. Nuova terra, in proprietà perpetua, a un canone basso peccato per quella piccola clausola che prevede il pagamento di 100 CENTO soldi, ossia un secolo di affitto, per chiunque volesse lasciare la nuova proprietà. Limitazione resa ancora più pesante dal fatto che il sottoscrittore avrà comunque obbligo di residenza, anche pagando l’ammenda, perché il contratto sarà considerato risolto solo alla sua morte. Insomma, della libertà dei venticinque uomini se ne è persa una buona metà. Per completare l'opera di sottomissione, l’abazia di S. Silvestro installa dei suoi agenti, o li sceglie tra quelli residenti, di fatto sottoponendo gli abitanti al potere coercitivo di tipo bannale che li obbliga a non lasciare le terre concesse, perché nel frattempo si è creata un’economia intorno al castello.
Quegli uomini liberi, che giuridicamente restano tali, sono un po’ meno liberi adesso perché l’incastellamento del X secolo vide l’affermarsi del dominato territoriale, con privilegi e fattori favorevoli ma, ovviamente, anche una restrizione delle libertà individuali molto profonda. Eppure, quell’ideale di libertà non svanirà del tutto dalla mente delle popolazioni italiche. Tornerà alla luce in forma nuova e travolgente pochi decenni più tardi, con l’epopea dei Comuni.
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