L'antefatto della Battaglia di Visby è dei più classici. Un re ambizioso, Waldemar Atterdag di Danimarca, salito al potere nel 1340, dopo aver riportato l'ordine all'interno del proprio reame decise di prendere l'iniziativa nei confronti dei bellicosi vicini. I suoi diretti avversari erano la Svezia e la Lega Anseatica, nemici per questioni di terra e di commerci nel Mar Baltico. Waldemar, con una rapida campagna, riconquistò la Scania, regione storicamente appartenuta alla Danimarca e finita in mani svedesi anni prima. Poi, intenzionato a non perdere l'iniziativa strategica acquisita, spostò la sua attenzione sulle isole del Baltico, la più grande delle quali era Gotland. Waldemar sbarcò il 22 luglio del 1361 a circa trenta chilometri a sud della capitale dell'isola, Visby. Conduceva un esercito dalle ridotte dimensioni, forse duemila uomini o poco più, ma composto esclusivamente di professionisti.
A comporre i ranghi erano la sua personale guardia reale, un centinaio di cavalieri danesi e un numero imprecisato ma superiore ai primi, di mercenari tedeschi. Le forze locali dei gotlandi erano composte da una milizia mista reclutata in città e nelle campagne. I mercanti cittadini, stando alle cronache, non presero parte allo scontro. Avrebbero tratto più vantaggio rimanendo neutrali, anche se è plausibile credere che molti di essi fossero certi della vittoria dei danesi. Gli armati del Gotland difettavano di buoni equipaggiamenti, come vedremo, ed erano scarsamente addestrati. Nel giro di dieci giorni, in un crescendo di violenza, le difese gotlandi furono annientate e Waldermar divenne padrone dell'isola.
La battaglia di Visby non rientra nel novero degli epocali scontri della storia. Non avrebbe ricevuto più attenzione di una scaramuccia di confine fra scozzesi e inglesi o della distruzione di una villa fortificata nelle lotte fra città e contado del nostro periodo comunale. Ciò che ha reso celebre lo scontro fu il ritrovamento, nel 1905, delle fosse comuni nelle quali furono inumati i caduti dell'ultima battaglia, quella alle porte di Visby.
Per migliaia di anni le fosse comuni furono il metodo di sepoltura più pratico e veloce per i caduti in battaglia. Centinaia, migliaia di morti venivano spogliati di armature e vestiario e gettati dentro profonde buche senza molti riguardi per la disposizione dei caduti. A volte si sfruttavano cavità naturali, se presenti, ma molto spesso era il lavoro forzato dei contadini reclutati a forza e dei prigionieri di guerra a compiere l'opera. Ciò che distingue le cinque tombe di massa di Visby è il particolare, molto raro, del ritrovamento di numerosi parti di equipaggiamento. Inoltre il numero enorme di caduti ritrovati, quasi 1200 corpi, ha permesso uno studio sistematico e tra i più completi in assoluto riguardo le ferite di guerra, permettendoci di indagare meglio la cruda realtà di un combattimento all'arma bianca.
Sui resti riesumati sono state rinvenute 456 ferite certe attribuibili a spade, asce e falcioni. 126 sono state causate da armi penetranti come frecce, lance e martelli da guerra. Vi sono inoltre decine di ferite che posso essere state causate dalle precedenti armi, in concomitanza con il danno principale, dopo l'avvenuta morta del bersaglio segno dell'implacabile falcidie portata avanti dai danesi: avanzavano in formazione serrata colpendo ogni corpo si trovassero avanti. 29 ferite da taglio raggiunsero ossa maggiori, in alcuni casi intaccandole nettamente -prova della scarsa protezione degli arti-.
Un altro dato rilevante è l'età dei deceduti. Meno della metà ha un'età compresa fra i 17 e i 50 anni, ossia nel pieno delle forze. La leva, disperata, di tutte le forze disponibili obbligò i comandanti gotlandi a impiegare giovanissimi e anziani. In totale, includendo anche le ferite da dardo di balestra certe, sono 660 i traumi attribuiti alla battaglia, 100 dei quali alla testa con conseguenze nefaste. Crani spaccati e perforati da più dardi fanno mostra di sé e dell'orrore della guerra nel museo di Visby. Altrettanto numerose le ferite alle gambe e alle tibie. Questo ci da delle indicazioni ben precise sull'inizio della battaglia. Ci fu un attacco diretto, le due formazioni serrate impattarono e ci fu uno scontro fra due muri di scudi. La quantità di colpi verso l'alto e verso il basso sono indice di formazioni serratissime, dove gli scudi poteva proteggere il torso e le cosce e dunque i fendenti venivano caricati contro gli elmi appena sporgenti e verso il basso, per sbilanciare il nemico.
Ecco una chicca per i moderni rievocatori e praticanti Hema. La maggior parte delle ferite studiate riguarda la parte sinistra del corpo. I più esperti maestri d'arme avranno già intuito cosa si può evincere da questo dato. Un guerriero privo di esperienza, nel mezzo della foga della battaglia, tenderà a portare lo scudo in avanti, verso i colpi a lui diretti. Mettere quanto più spazio possibile fra sé e le lame che minacciano di uccidere è un'istinto naturale. Solo i più esperti terranno lo scudo fermo e deciso contro il corpo, bilanciando i colpi con parsimonia. L'atto di allungare il braccio dello scudo porta a scoprire questa parte, spigando così la quantità impressionante di ferite a sinistra.
Per quanto riguarda i ritrovamenti di oggetti la parte da leone la fanno le 24 corazze, alcune ancora quasi del tutto complete. Il fatto che non vi fu completa spoliazione delle salme viene attribuito alla calura eccessiva, cosa alquanto probabile. Le corazze lamellari venivano indossate sopra gli usberghi di anelli e sono l'anello di congiunzione fra le armature a maglia e le successive di piastre complete.
Furono ritrovati anche cappelli di ferro, guanti a scaglie, numerosi camagli ancora indossati con le ossa dei teschi ormai saldate ad essi.
Fra i resti anche alcuni ferri di cavallo e qualche sperone cosa che fa pensare che fossero presenti anche alcuni cavalli, in numero limitato. Si è voluto interpretare alcune ferite dal basso verso l'alto come inferte da fanti a cavalieri ma è più probabile che fossero colpi rivolti a uomini già a terra. Nella foga della battaglia, quando la linea con la vittoria ormai prossima avanza, i feriti superati dalla massa combattente venivano colpiti, pestati, presi prigionieri, dagli uomini che seguivano il fronte. In questo caso, trattandosi di una leva priva di alcun valore monetario, la strage fu inesorabile. Nessuno puntava a catturare quei poveracci.
La battaglia di Visby fu una breve ma brutale battaglia fra due piccoli eserciti divisi in schieramenti minori. Vi fu un impatto violento, con uno scontro durato forse qualche decina di minuti fatto di spinte e colpi sopra e sotto gli scudi, poi l'inesperta difesa dei gotlandi cadde e la strage fu indescrivibile. Ironia della sorte, la nave con il pesante tributo versato a Waldemar dagli abitanti ormai alla sue mercé affondò durante il viaggio di ritorno.
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